Febbre in gravidanza: quando preoccuparsi

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febbre in gravidanza

Allarmarsi per qualche piccola anomalia nella propria salute, durante la dolce attesa, è più che normale. Ma quando le paure sono giustificate e quando invece sono solo controproducenti?

Immaginiamo il momento: gravidanza inoltrata, ansia e stress pre-parto, l’organismo è sottosopra e aspettiamo il responso del termometro. Febbre. Che fare? Come interpretare la misurazione della febbre?

La mamma in dolce attesa, di certo, avviserà il proprio medico se la temperatura è più alta del normale, ma quando è utile preoccuparsi e quando, invece, si rischia di cedere all’ansia per nulla? Qualche decimo farà la differenza? In che modo è più opportuno affrontare la febbre quando si è nel bel mezzo di una gravidanza? Ecco alcuni consigli per inquadrare la situazione, capire se è necessario mettersi in allerta e affrontare il problema dandogli il giusto peso.

La prima cosa da fare in ogni caso: consultare il medico

La febbre, come risaputo, non è una malattia di per sé, ma semplicemente un sintomo, una reazione del nostro organismo. È proprio per questo che, in teoria, anche pochi decimi di differenza, sopra la temperatura normale, dovrebbero rappresentare un campanello d’allarme. Chiamare subito il proprio medico e riferire la propria temperatura corporea ed eventuali altri sintomi è l’unico modo, almeno inizialmente, per comprendere se il nostro organismo ci sta mandando un messaggio, avvertendoci che qualcosa non funziona come dovrebbe, oppure se semplicemente si tratta di stanchezza, spossatezza, un colpo di freddo improvviso o altri fattori di entità più trascurabile. Se però c’è davvero qualcosa che non va, andrà subito individuato e affrontato il problema, con l’aiuto del medico, per evitare eventuali complicazioni.

La gravidanza ha alcune “regole” speciali

Durante il periodo di gravidanza, un leggero rialzo della temperatura corporea potrebbe essere fisiologico: durante la dolce attesa, infatti, l’organismo subisce varie trasformazioni, soprattutto a livello ormonale, e in molti casi queste si accompagnano a un aumento di temperatura, solitamente entro qualche decimo (dai tre ai cinque). La responsabilità è da amputare specialmente al progesterone (uno degli ormoni femminili), il cui aumento comporta una dilatazione dei vasi sanguigni e dei capillari, che a sua volta determina un maggior calore corporeo. Quest’ultimo può essere avvertito già dall’inizio della gravidanza, ma diventa evidente dal secondo trimestre in poi: in base alla “nuova” temperatura corporea media, quindi, la neomamma può basarsi per stabilire se ci sono aumenti oltre la temperatura fisiologica della gravidanza, e segnalare al medico eventuali anomalie.

La soglia dei 38 gradi

Un discorso diverso si può fare a fronte di un rialzo significativo, ovvero quando la temperatura sale fino ai 38°C o oltre. Se per la mamma non ci sono conseguenze al di là di quelle che avrebbe un qualsiasi adulto che non si trova in gravidanza, per il feto può invece rappresentare un problema più serio. Durante la febbre, infatti, le pareti dell’utero – stimolate dal sistema immunitario della mamma – potrebbero contrarsi e interferire con il corretto sviluppo del bambino. Nei casi peggiori potrebbero addirittura essere la causa di un aborto spontaneo.

È per questo motivo che quindi di norma il medico prescrive un farmaco specifico per abbassare la temperatura corporea, quando questa supera i 38°C: solitamente si tratta di paracetamolo, perché questo particolare febbrifugo non ha conseguenze sulla gestazione e non porta con sé particolari controindicazioni, salvo casi particolari.

La febbre come segnale di un problema

Come anticipato, la febbre non è mai “soltanto” febbre. Un aumento significativo della temperatura corporea ha delle cause di natura virale o batterica, che possono rappresentare un fattore di rischio per il feto. Nel primo caso – ovvero quando la febbre è di origine virale – bisogna prestare particolare attenzione soprattutto nella prima metà della gravidanza, quando il feto è più esposto alle conseguenze degli attacchi di un virus. Nel secondo caso, ovvero quando la febbre è di origine batterica, la placenta funge da barriera, ma in alcuni casi possono verificarsi determinate complicanze (endometrite, amniosite e così via).

La febbre può costituire, infine, anche il sintomo di un’infezione delle vie urinarie, particolarmente frequente nelle donne incinte. Anche in questo caso le conseguenze sono varie e diverse per mamma e bambino. Per la donna, l’infezione delle vie urinarie corrisponde a una cistite (se è coinvolta solo la vescica), di una pielite (se è coinvolto anche l’uretere) o della più seria pielonefrite (quando c’è anche un coinvolgimento dei reni): ognuno di questi casi va affrontato con il consulto di un medico e di un ginecologo. Un’infezione del genere, infatti, comporta per il bambino il rischio di un parto prematuro: un pericolo senz’altro importante che va evitato curando l’infezione con tempismo. In quest’ottica, l’insorgere della febbre è certamente un campanello di allarme che può dimostrarsi provvidenziale nel segnalare la gravità dell’infezione.

 

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